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Storia dell'abbazia

Le origini dell'abbazia sono piuttosto controverse e non sempre convalidate da prove, ma la tradizione vuole che, nell'anno Ottocento l'eremita Alemanno si insediasse in questi luoghi solitari per trovare la pace dell'anima e vi costruisse un modesto oratorio e una cella. Questa atmosfera di serena spiritualità attirò un numero sempre maggiore di fedeli, le celle si moltiplicarono tanto che l'oratorio diventò un monastero alla cui guida vennero chiamati i canonici regolari di Sant'Agostino.

Le genti che abitavano la zona circostante contribuirono in modo considerevole allo sviluppo del monastero fino all'edificazione della chiesa dedicata a San Pietro Apostolo, presumibilmente tra il 1068 e il 1070. Non molto tempo dopo, verso l'anno 1100, il monastero venne elevato al rango di abbazia grazie al patriarca Ulrico (o Voldorico) di Eppenstein.

Ciò che è più probabile è che furono gli Eppenstein, signori di Carinzia e alleati dell'imperatore, e i loro successori, gli Spanheim, ad avere un ruolo importantissimo nella creazione e nel consolidamento della badia, dando un vigoroso incremento sia in termini fondiari che di notorietà.

La regola Agostiniana venne soppressa a favore di quella Benedettina, facendo venire i primi monaci dal monastero carinziano di Millstatt (1091).

Durante il XIII secolo l'abbazia raggiunse il suo massimo splendore, venne dichiarata indipendente e posta sotto la diretta protezione della Santa Sede con diploma di papa Innocenzo IV concesso l'11 agosto 1245.

Nel 1323 tutta la struttura abbaziale subì un gravissimo incendio nel quale andarono distrutti tutti i documenti.

L'anno 1391 portò una novità per l'abbazia di Rosazzo: per la prima volta papa Bonifacio IX diede in commenda l'abbazia al cardinale Pileo di Prata, arcivescovo di Ravenna. Il passaggio in commenda diventa ufficiale nel 1423 portando un decadimento spirituale per il monastero. Spesso gli abati commendatari governavano per mezzo di gerenti e traevano profitto dalle rendite grazie all'ausilio di amministratori. Questa situazione ebbe come conseguenza l'abbandono dell'abbazia da parte dei monaci benedettini.

Più tardi, durante le lotte fra Aquileia e Cividale, tra Venezia e gli imperiali, il monastero venne trasformato in rocca difensiva. I monaci Benedettini dopo oltre trecento anni, lasciarono l’abbazia la quale venne governata dal 1423 fino al 1751 (anno della soppressione del patriarcato di Aquileja), da abati commendatari, i cui stemmi sono visibili tutt'oggi nelle lunette del chiostro. Durante questo periodo, nel 1522 i Domenicani si insediarono nell'abbazia e vi rimasero per 248 anni.
Nel 1509 dopo varie vicende di guerre e razzie, un incendio completò l’opera di rovina. Solo vent’ anni più tardi ebbe inizio la rinascita del complesso abbaziale per merito dell’abate commendatario Giovanni Matteo Giberti, il quale si avvalse dell'ausilio di Venceslao Boiani, architetto cividalese.

Nel 1823 il Arcivescovo Emanuele Lodi, trasformò l'abbazia in residenza estiva degli arcivescovi di Udine; l'arcivescovo di Udine venne insignito del titolo nobiliare di Marchese di Rosazzo, titolo che venne poi riconosciuto nel 1927 anche dal Regno d'Italia.
Merito di mons. Alfredo Battisti, arcivescovo di Udine, è stata la rinascita di Rosazzo: suo l’interessamento per includere l’edificio nelle opere da ripristinare dopo il terremoto del 1976. 
La rinascita spirituale si ispira al ‘Progetto Rosazzo’, che ha preso l’avvio l’1 ottobre 1994.


Ora il ‘monastero delle rose’ opera come centro di cultura, punto d’incontro umanistico e sociale, luogo in cui si organizzano convegni, seminari, mostre, dibattiti.

L'Abbazia di Rosazzo